36 e 1/2 - Impronte di me
- Raffaella
- 27 mar 2015
- Tempo di lettura: 3 min

Messaggio d'amore
“Entro piano nei tuoi sogni, in punta di piedi, per non disturbare. Piano ti sussurro queste parole all’orecchio, con un filo di voce, per non turbare il tuo sonno finalmente tranquillo. Sono io, mamma, mi riconosci? No, non puoi riconoscermi. Ho abitato così poco dentro di te che non puoi avere avuto il tempo di imparare i segni della mia presenza. Sono io, quel piccolo angelo che, per qualche giorno, ha trovato riparo in un caldo angolino del tuo giovane corpo. Da quella mia prima ed ultima culla ho sentito il tuo cuore, l’ho sentito battere di gioia, di sorpresa, di dolore, di rabbia, di delusione. Scusami, so di averti fatto paura. Sono arrivata inattesa, non voluta, da un amore imprudente, troppo acerbo per esser fonte consapevole di una nuova vita. Ho percepito il terrore che hai provato quando hai saputo della mia presenza. Non ti sentivi pronta per me, hai solo vent’anni, studi ancora, conosci il mio papà da poco tempo e non potevi dire di me alla mia nonna. Sapevi che ne sarebbe stata sconvolta. Lei ripone in te tutte le sue speranze, ha sempre sognato per te un futuro di gloria ed io, in questo piano, sarei stata solo d’intralcio. Non sapevi che fare. Carezzavi già la tua pancia, immaginando di tenermi presto stretta fra le braccia, eppure non potevi fare a meno di pensare che, liberandoti in fretta di me, avresti evitato qualunque problema. La notte non dormivi, soffocavi singhiozzi disperati contro il cuscino, sperando che la nonna non sentisse la tua pena. Restavo sveglia con te, la tua angoscia era la mia. Mai ti sei sentita così sola, mai un segreto ha pesato tanto sul tuo cuore da libellula. Ogni ora era un macigno, ogni minuto un passo che ti separava dalla tua libertà. Avrei voluto consolarti, infonderti coraggio, gridare alle tue orecchie che insieme ce l’avremmo fatta a vincere paure e pregiudizi, ricatti e cambiamenti. Ma la mia vocina sembrava troppo flebile rispetto al BUM BUM del tuo cuore spaventato, rispetto al pianto di tua madre quando ha saputo, all’amarezza di tuo padre, rispetto alle mille ragioni del “buon senso”, tutte più importanti della mia voglia di diventare bimba. Sì, ero una bimba, e tu lo sentivi già. Ti hanno detto che non ero ancora una persona, che un embrione non è altro che un gruppo di cellule in evoluzione, ma nella tua mente avevo un volto, avevo un nome e un cognome e quel nome, pronunciato dalle tue labbra, è stata la parola più dolce udita durante il mio breve viaggio: Myriam, Myriam, Myriam… Lo sento ancora adesso, in un’eco debole che sale su da certi sogni che tuttora fai.
Ti ho amata infinitamente, mamma, ti ho amata tanto da rinunciare a te, da rinunciare a noi. Me ne sono andata via in una mattina tiepida di primavera, mi sono spenta piano, lasciando che la vita scorresse via dalle mie poche cellule. Non ti ho dato il tempo di decidere, ho messo fine alla lotta della tua coscienza, ho impedito che una scelta, qualunque fosse stata, avesse potuto distruggerti il futuro. Adesso sei serena. Il filo della tua vita è ripreso da dove si era interrotto a causa mia. Torno, a volte nei tuoi sogni, a volte nei discorsi con papà, mai in quelli con i nonni. Ti chiedi come sarebbe stato, se ti verrà ancora concesso il dono d’esser madre. Chissà, mamma, forse un giorno tornerò, forse il fato darà a entrambe una seconda possibilità e, allora, vedrai, tutto sarà diverso: io m’immergerò nei tuoi occhi, tu potrai goderti i miei e, anziché di singhiozzi tristi, le mie orecchie si nutriranno delle fatate note di una dolce ninna nanna”.
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