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Due passi con ...

  • ormedinchiostro
  • 31 mar 2015
  • Tempo di lettura: 4 min

Dacia Maraini

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Osservo il volto di questa donna come fosse un’opera d’arte. Guardate il suo sorriso imperfetto, le sue mani macchiate, i suoi occhi intrappolati da una ragnatela fitta di minuscole rughe, resi piu’ piccoli dal lavoro del tempo. Ora distogliete lo sguardo, chiudete gli occhi e immediatamente vi renderete conto che di tutti quegli insignificanti dettagli non è rimasto nulla. Del suo viso la memoria conserva solo la luce e la serenità che porta con sé. La bellezza del suo volto, l’eleganza, la dolcezza, sono solo impreziosite dai segni del tempo e raccontano la storia di una donna che ha vissuto intensamente, che ha fatto delle sue esperienze un patrimonio inestimabile che ha con generosità condiviso con tutti attraverso i suoi meravigliosi libri.

Ho avuto l’onore di ascoltare il racconto di qualche capitolo della sua storia nel 2010, al Salone del Libro di Ginevra, in cui presento’ il suo libro “La ragazza di via Maqueda”, una raccolta di racconti, tratti dall’ album dei suoi personali ricordi. Nel corso dell’incontro narro’ degli anni dell’infanzia vissuta in Giappone, con la mamma Topazia, nobildonna dell’aristocrazia siciliana, e il papà Fosco, di quando i suoi genitori rifiutarono di giurare fedeltà alla Repubblica di Salò e tutta la famiglia fu internata nei campi di concentramento “Comprese noi bambine, trattate da "prigioniere politiche" esattamente come i nostri genitori”. Racconto’ degli anni dell’adolescenza, trascorsa a Palermo nella villa Valguarnera di Bagheria, e poi di quelli dei grandi incontri, con Pasolini, con la Callas, e infine con Alberto Moravia che nel 1962 lascio’ per lei la moglie, la scrittrice Elsa Morante, e con lei visse a lungo, fino ai primi anni Ottanta.

Venni via da quella conferenza impressionata non tanto dalla sua storia (che tra l’altro avevo già letto su diverse biografie), ma dalla serenità trasmessa dalla sua voce e dall’amore profondo con il quale parlava di ogni evento, di ogni amico, di ognuno dei suoi libri che non esita a definire “figli” : “Sono sempre affezionata all’ultimo romanzo a cui sto lavorando perché mi tiene compagnia per tre anni – questo è il tempo minimo che ci vuole per me per scrivere un romanzo – perché ci vivo dentro, perché mi affeziono ai personaggi. Poi il romanzo prende la sua strada, se ne va, come un figlio che cresce. Continui a tenerlo d’occhio e a volergli bene, ma ti dedichi a un altro figlio che ti sta crescendo dentro” (intervista di Angela Liuzzi).

Figli eccezionali, del resto: poesie, opere teatrali, saggi e romanzi meravigliosi da cui registi famosi hanno tratto film indimenticabili da Memorie di una ladra con Monica Vitti, a Storia di Piera con Marcello Mastroianni, al capolavoro La lunga vita di Marianna Ucria con una straordinaria Emmanuelle Laborit.

Piccoli e grandi capolavori: appassionanti storie di viaggi e di amicizia, cronache storiche, le piu’ scottanti tematiche d’attualità, drammatici ritratti di donne e un impegno quotidiano nel sociale ne fanno una grande scrittriice e, soprattutto, una grande donna dei nostri tempi che parla ai nostri cuori conoscendone la lingua:

Donne mie

Donne mie che siete pigre,

angosciate, impaurite,

sappiate che se volete diventare persone

e non oggetti, dovete fare subito una guerra

dolorosa e gioiosa, non contro gli uomini,

ma contro voi stesse che vi cavate gli occhi

con le dita per non vedere le ingiustizie

che vi fanno. Una guerra grandiosa contro chi

vi considera delle nemiche, delle rivali,

degli oggetti altrui; contro chi vi ingiuria

tutti i giorni senza neanche saperlo,

contro chi vi tradisce senza volerlo,

contro l’idolo donna che vi guarda seducente

da una cornice di rose sfatte ogni mattina

e vi fa mutilate e perse prima ancora di nascere,

scintillanti di collane, ma prive di braccia,

di gambe, di bocca, di cuore,

possedendo per bagaglio

solo un amore teso, lungo, abbacinato e doveroso

(il dovere di amare vi fa odiare l’amore, lo so)

un amore senza scelte, istintivo e brutale.

Da questo amore appiccicoso e celeste

dobbiamo uscire

donne mie,

stringendoci fra noi per solidarietà

di intenti, libere infine di essere noi

intere, forti, sicure, donne senza paure.

Donne mie dalle dita che puzzano di aglio,

donne mie dalle vene varicose, gli occhi

feroci , le mani insolenti, la bocca timida,

vi hanno insegnato ad essere cretine, povere,

dipendenti, vi hanno insegnato a dire

sempre di sì, con astuzia degradante, con

candore massacrante, con vigore represso.

Vi hanno insegnato a lavorare , a ubbidire,

a tacere, a figliare, con gioia e purezza

senza acrimonia, per servire, aiutare,

sostenere, consolare l’ uomo, sempre lui,

nella sua smagliante illusione razzista.

Donne di marmo, di pece, di latte cagliato,

voi lavorate ogni giorno senza stipendio

per i figli, il marito, i cugini, i nipoti,

i fratelli , i nonni, i padroni tutti

che vi vogliono belle e pure come oggetti sociali.

Se dite di no vi sembra di fare peccato,

per questo dite sempre di sì , con l’animo

sciolto e la testa piena di fumo amaro,

dite di sì e in cambio ricevete un bacio

di buonanotte dal caro figlio del cuore

su una guancia rugosa che sa di lardo e di acqua sporca.

Donne mie illudenti e illuse che frequentate

le università liberali, imparate latino,

greco, storia, matematica, filosofia;

nessuno però vi insegna ad essere orgogliose,

sicure, feroci, impavide. A che vi serve

la storia se vi insegna che il soggetto

unto e bisunto dall’ olio di Dio è l’ uomo

e la donna è l’ oggetto passivo di tutti

i tempi?A che vi serve il latino e il greco

se poi piantate tutto in asso per andare

a servire quell’ unico marito adorato

che ha bisogno di voi come una mamma?


 
 
 

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