Review: "Firmino" by Sam Savage
- ormedinchiostro
- 3 apr 2015
- Tempo di lettura: 2 min

Un consiglio di un buon amico, ed ecco Firmino zampettare su e giu’ per la mia libreria, formalmente e gioiosamente adottato cinque anni fa.
Non resta che sperare che contunui ad avere rispetto per le pagine che adesso gli fanno da casa. Eh già, perché il caro Firmino è un ingordo ratto nato da una pantegana libertina e alcolizzata nel seminterrato di una libreria di Boston tra brandelli di pagine del Finnegans Wake di Joyce. Ultimo di una nidiata di tredici roditori si trova escluso dall’allattamento della madre, dotata solo di dodici mammelle, e per sopravvivere, nei primi giorni della sua esistenza, si ritrova a nutrirsi mangiucchiando pagine di Jane Eyre, di Anime Morte, di Furore, di Padri e figli e di tanti altri capolavori della letteratura mondiale. Questo suo “pane quotidiano” lo rende diverso dai suoi fratelli, sia nell’aspetto che nell’intelligenza, tanto che pian piano smette di considerare i libri cibo per il corpo e ne fa nutrimento per l’anima. Li ama, li venera, ne divora uno dietro l’altro.
La sua immensa passione per i libri lo rende speciale, ma di fatto lo costringe a un'esistenza triste e solitaria: “Nonostante fossi loquace fino al cicaleccio più inverosimile, ero condannato al silenzio. Il punto è che ero privo di voce. Tutte le frasi meravigliose che si libravano in volo nella mia testa come farfalle, in realtà, svolazzavano dentro una gabbia da cui non sarebbero mai uscite.”
Firmino desidererebbe piu’ di ogni altra cosa essere un uomo e si umanizza a tal punto da diventare depresso, malinconico, nevrotico. Ogni tanto esce per procurarsi del cibo e frequentare un vecchio cinema, dove rosicchia popcorn caduti, si estasia e sogna con le storie di Fred Astaire e Ginger Rogers e, a notte fonda, sbircia film porno. Ma, nonostante sia tanto prossimo al mondo umano, rimane pur sempre un ratto che dal nostro mondo resta inevitabilmente tagliato fuori. Il solo rifugio è il suo universo onirico in cui può immaginare di dissertare brillantemente con i grandi della letteratura o di danzare con i suoi beniamini o ancora di essere un grande pianista. Questa sua bizzarra esistenza subirà uno scossone quando il nuovo piano edilizio deciderà la demolizione del quartiere, inclusa la vecchia libreria e tutti gli altri luoghi a cui Firmino è legato. Una distruzione che sembra metafora della decadenza della cultura, dell’arte, della poesia, di fronte a un progresso che non prevede spazi per l’immaginazione e il sogno.
Nonostante il protagonista sia un topino, Firmino non è assolutamente un “Ratatouille” per bambini, ma piuttosto una favola malinconica e commovente per adulti. Librivoro e sognatore, Firmino incarna il senso di solitudine e di disagio di chi sente di non avere alcuna affinità con il contesto in cui vive e cerca salvezza tra strade di carta o nei voli liberi dei propri sogni. E’ un monologo intimo che esprime un’insaziabile brama di condivisione, di comprensione, di accettazione della propria diversità e, soprattutto, è una straordinaria dichiarazione d’amore per la lettura !
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