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Review: "Le cose che non ho" by Grégoire Delacourt

  • ormedinchiostro
  • 7 apr 2015
  • Tempo di lettura: 3 min

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Questa è la storia di Jo, anzi no.

Forse è semplicemente la storia di una di noi.

Jocelyne Guerbette, detta Jo, ha un cuore semplice, è una donna intelligente e positiva con un’esistenza quieta, tanti sogni, ma spesso poche energie per realizzarli. E’ una merciaia di provincia, ha 47 anni, è madre di due figli e sposata da oltre vent’anni con un operaio, di nome anche lui Jocelyn.

Le piacciono le cose fatte a mano, quelle che richiedono pazienza, amore e tempo, cio' che le rende piu’ preziose. Purtroppo il mondo che la circonda la pensa diversamente, preferisce lo stardard, il preconfezionato da supermercato. Per questo la sua piccola merceria funziona sempre peggio e Jo deve lasciar perdere i sogni e restare ben ancorata coi piedi per terra per far quadrare i conti. Ben poche sono le cose che le danno ancora conforto: la lettura («È solo nei libri che può cambiare la vita. Solo lì si può cancellare tutto con un tratto di penna. Fare sparire il peso delle cose. Cancellare le cattiverie meschine e alla fine di una frase, ritrovarsi all’improvviso alla fine del mondo») e il suo blog, Mani di fata, in cui riesce a esprimere le sue emozioni parlando di ricamo e cucito.

Una una vita normale, insomma, segnata dalla routine e dal sapersi accontentare di quello si ha. Finché un giorno accade qualcosa che le stravolgerà la vita per sempre: Jo vince 18 milioni di euro alla lotteria.

Decide di tenere segreta la sua vincita, non per egoismo, ma per pensare a cosa farne. Inizia a stilare la lista dei suoi bisogni: una lampada, un tappeto, una borsa nuova, un asse da stiro, un telefono nuovo, una macchina nuova… Ma le sembrano tutte sciocchezze.

«I nostri bisogni sono i nostri piccoli sogni quotidiani. Sono le nostre piccole cose da fare, che ci proiettano verso il domani, e il giorno seguente, nel futuro; sono quelle cose di poco conto che compreremo la settimana prossima e che ci permettono di pensare che la prossima settimana saremo ancora vivi».

Lascio a voi scoprire cosa farà Jo con i suoi diciotto milioni di euro.

In sintesi, la riflessione verso cui il romanzo ci conduce è che spesso le cose che non abbiamo, quelle che ardentemente desideriamo, sono solo degli oggetti inutili che probabilmente ci daranno solo un appagamento momentaneo, una fuga temporanea dalla noia, ma non ci garantiranno la felicità.

Potrebbero i soldi darci la possibilità di riabbracciare persone care scomparse, di diventare migliori o di ridurre le distanze del cuore?

Forse felicità non è spuntare dei desideri su una lista. Forse non è solo sommare in modo matematico un sogno dopo l’altro, ma ritrovare se stessi in ciò che si fa.

Concedersi tempo: «Penso che prendersi il proprio tempo sia importante. Penso che tutto vada troppo in fretta. Si parla troppo in fretta. Si pensa troppo in fretta. Si inviano mail, messaggi senza rileggersi, si perde l’eleganza dell’ortografia, l’educazione, il significato delle cose»

Concentrarsi su ciò che si ama: «A me le parole piacciono. Amo le frasi lunghe, i sospiri che non finiscono più. Mi piace quando, a volte, le parole nascondono quello che vogliono dire; o lo dicono in un modo diverso».

Guardare chi ci sta accanto e riscoprire quello che il tempo e la routine ci hanno fatto dimenticare: «Ho visto le sue nuove rughe sulla fronte, minuscole rughette intorno alla bocca, la pelle che cominciava a rilassarsi sul collo, dove una volta gli piaceva essere baciato. Ho visto gli anni sul suo viso, ho visto il tempo che ci allontana dai nostri sogni e ci avvicina al silenzio. Allora l’ho trovato bello, il mio Jo nel suo sonno di bambino malato, e ho amato la mia bugia».


 
 
 

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