36 e 1/2 - Impronte di me
- Raffaella
- 13 apr 2015
- Tempo di lettura: 3 min

Io, l'altra
“Shh, non aprire gli occhi adesso, amore mio, ti prego, non aprirli ancora. Resta un po’ così, sdraiato al mio fianco, il volto disteso, le narici che si muovono impercettibilmente al passaggio del respiro. Il lenzuolo segue morbido il profilo del tuo corpo, mentre il primo raggio di sole che filtra dalle persiane ti carezza il viso scurito dalla barba appena nata. Indovino la forma delle tue gambe, percepisco la forza delle tue cosce, la curva del tuo fianco. Vorrei stendere la mano, toccarti, sentire ancora sotto le dita il calore della tua pelle, il solletico dei peli, la tensione dei tuoi muscoli, ma non ti sfioro nemmeno. Non voglio che ti svegli, che, dopo un bacio distratto, scappi via, lontano da me, verso la tua vita, verso una vita che, lo so, non sarà mai la “nostra vita”. Non mi fai promesse, non te ne chiedo, né dichiarazioni d’amore, non ne abbiamo più l’età. Ti chiuderai alle spalle la porta del mio appartamento e un’altra notte clandestina andrà ad aggiungersi alle altre che, come dici tu, imbrattano di fango la tua coscienza di marito e padre. Mi feriscono queste parole, mi fa male sentirmi fango, vedermi sbattuta in faccia tutta la sporcizia di questa nostra storia.
Ma può essere sporco l’amore? Quel dolcissimo languore che mi sale dallo stomaco tutte le volte che compari in un angolo dei miei pensieri, l’ubriachezza causata dall’odore dei tuoi capelli, dal piacere del tuo tocco, l’attesa struggente delle poche ore da ritagliare per noi sul foglio di un tempo che sembra infinito, il desiderio di annegare nei tuoi occhi le paure e i rimorsi che dominano le tue assenze, quella voglia di scappare mentre si accorcia ogni giorno il guinzaglio che mi lega a te.
No, non è sporco l’amore, è sporco provarlo per te.
Ogni giorno, da quando ti conosco, scrivo nella mia mente una lettera d’addio. Mattone su mattone, innalzo con la ragione il muro che dovrà dividerci per poi vederlo sgretolarsi, miseramente, al primo brivido del tuo contatto. Razionalità, buon senso, disprezzo per me stessa, nulla riesce a battere quella forza perversa che spietatamente mi trascina verso te. Chi l’avrebbe mai detto: io, “l’altra”, io, infognata in un’esistenza parallela, segreta, vergognosa, relegata ai margini di una vera vita. Una puttana fedele e monogama, un verme nei panni troppo grandi di un cobra assassino.
Sapessi quante volte ti ho seguito per le strade della tua quotidianità, nell’illusione che, alla luce di quel sole, ero io ad averti sotto braccio, mia era l’immagine che le vetrine di negozi riflettevano accanto alla tua, nostri i bimbi che ti correvano a fianco, nostro il carrello che riempivate allegramente al supermercato nell’aria spensierata di un sabato mattina. Credevo di seguire voi, in realtà, seguivo solo il corteo funebre del mio orgoglio, con lacrime disperate, dietro spesse lenti scure, piangevo la sepoltura prematura della mia dignità di donna.
E mentre in me brucia l’inferno, a te offro solo vedute placide di paradiso. Recito per il mio unico spettatore la parte dell’amante perfetta, l’anti-moglie per eccellenza: quella che non chiama, quella che non chiede, non pretende, non fissa appuntamenti, non vuole puntualità, collaborazione, impegno, ordine, rispetto, quella che non critica, non dà consigli, non tiene il muso, non festeggia a tutti i costi anniversari e compleanni, quella mai stanca, mai scontata, mai impegnata, mai in abiti da casa o col mollettone in testa. Mi dici che sono la tua boccata d’aria pura e non sai quanto invece io sia intossicata, quanto invidi a Elena proprio tutto ciò che tu disprezzi in lei. Quella che tu chiami ‘abitudine’, per me sarebbe ‘libertà’.
Ora socchiudi gli occhi, un attimo per orientarti, scopri che sono lì a osservarti, mi regali uno dei sorrisi più teneri che conosca, mi sfiori dolcemente il viso, e so di essere perduta”.
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