Review: "Il bordo vertiginoso delle cose" by Gianrico Carofiglio
- ormedinchiostro
- 24 set 2015
- Tempo di lettura: 3 min

Mentre sorseggia il suo cappuccino mattutino in un bar nel centro di Firenze, Enrico Vallesi sfoglia distrattamente un giornale e si imbatte in una notizia di cronaca che lo scuote parecchio: durante un conflitto a fuoco con i carabinieri, è rimasto ucciso un rapinatore da poco uscito di galera; il nome della vittima è Salvatore Scarrone, suo compagno di scuola ai tempi del liceo.
In un attimo l’articolo lo riporta alla fine degli anni Settanta, al periodo della sua adolescenza quando frequentava il quinto ginnasio all’Orazio Flacco di Bari. Ritorna con la mente a quel primo giorno di liceo, quando, in una classe di quindicenni, aveva fatto la sua comparsa Salvatore, più volte bocciato, turbolento, il compagno che gli insegnerà come difendersi dalla violenza della strada e superare a testa alta quel campo minato che è l'adolescenza.
Ecco allora che Enrico, quasi cinquantenne, ex bibliotecario, ex scrittore e insoddisfatto ghostwriter, decide di tornare nei luoghi della sua infanzia, in un viaggio di ritorno verso il suo passato, la sua adolescenza, verso quel ragazzo timido che sognava di diventare uno scrittore di talento mentre imparava ad affrontare il mondo, i sentimenti, la politica, la violenza e le sue passioni.
Ritornare a casa, rivedere il fratello dopo tanti anni e ripercorrere luoghi familiari gli consentiranno di capire ciò che si è lasciato alle spalle e rianalizzare sotto una nuova luce la sua vita, fallimenti e successi, quella vita che non è stata pienamente vissuta.
“…e adesso è tardi per tutta questa vita che ti è passata accanto e che non sei stato capace di vivere perché volevi soltanto raccontarla, e non sei stato capace di fare neanche quello.”
Al racconto del ritorno nella sua Bari, ormai trasformata dal tempo, si alternano i ricordi dell’amore perduto per la professoressa di filosofia, dell’amicizia tradita per Salvatore che lo aveva avvicinato alla violenza e alla criminalità, di quel ragazzo lasciato sul ciglio del burrone e ora ritrovato sul fondo di esso.
Tanti gli spunti di riflessione offerti al lettore; si parla di una Bari variopinta, con tutte le sue bellezze e i suoi guai, si parla degli anni 70 con gli scontri politici tra estrema destra e estrema sinistra, si parla dell’adolescenza e dell’infanzia, la sua, la nostra:
“Ti ricordi il corridoio di casa della bisnonna, con i suoi odori di naftalina, di vecchi abiti, di gatto. L'interruttore era proprio a metà strada fra il soggiorno e il bagno. Per andare a fare pipì bisognava dunque percorrere un bel pezzo di quell'oscurità minacciosa.”
“Poi c'era il buio della tua cameretta, il luogo più familiare di tutti dove a volte però ti capitava di svegliarti nel cuore della notte in preda agli incubi. In quei casi dovevi accendere la luce e leggere, fino a quando non filtravano le prime luci dell'alba e potevi riaddormentarti, anche se solo per poco.”
Carofiglio è bravo a raccontare, a invitare all’introspezione, alla riflessione, ma, come sempre, nei suoi libri qualcosa mi sfugge. Mi piace come scrive, ma non riesco mai a capire dove voglia andare a parare. Ho sempre la sensazione che non ci sia una meta nel suo vagabondare letterario. Il racconto, infatti, sembra smarrirsi in lunghe e alquanto banali speculazioni pseudofilosofiche. Manca quella forza trascinante e intrigante che ci si aspetta una trama articolata e cosi’ ricca di spunti. Manca quell'episodio particolare in grado di coinvolgere, sconvolgere e appassionare; da come la storia si evolve, continui ad aspettarlo, sia nella narrazione del presente che in quella del passato, ma alla fine ti rendi conto che non c'è … e non ci sarà.
Nonostante quest’altra delusione (dopo “Il passato è una terra straniera”), resto nella fiduciosa attesa di essere prima o poi “catturata” dal Carofiglio piu’ amato dagli Italiani.
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